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Ain’t nobody (loves me better than you)

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Se ti annoi, vai direttamente all’ultimo paragrafo.

Ain’t nobody (loves me better)

A volte mi chiedo se io mi sia mai innamorata, se io abbia mai amato qualcuno. Non saprei nemmeno se ho amato mai davvero me stessa, non so nemmeno cosa significhi in generale.

Se innamorarsi è la cotta , l’attrazione, sentirsi su di giri come mentre ti tuffi da un trampolino sì, probabilmente lo sono stata. Amare invece dovrebbe essere qualcosa di più profondo, di struggente, consapevole, dipendenza fisica ed affettiva da qualcuno. Ho mai amato? Non ne ho idea. Suppongo di no. Per amare ci vuole coraggio, si ci deve esporre, mischiare la pelle , le anime , le ossa. Possiamo arrivare a dire: “Ain’t nobody loves me better than you”? Non c’è nessuno che mi ami come te.

Il mio essere innamorata o meglio il mio voler bene e tenere a qualcuno lo misuro attraverso l’intensità con la quale mi manca. Mi sono sentita subito bene dopo relazioni lunghe e fallite, pur aver pianto ore, pur aver sentito qualcosa dentro che si spezzava, mi sono imposta di andare avanti e di star subito bene e dopo una sola settimana ero rinata. E invece, a volte, dopo solo qualche mese di incontri confusi e sporadici ti manca l’ossigeno se l’uomo in questione tarda, non ti chiama, non avvisa, si dimentica di te.

Amare significa mettersi un po’ da parte. Ma se ci mettiamo un po’ da parte per un’altra persona stiamo rispettando noi stessi? Amare sè stessi ed un altro allo stesso tempo è possibile? Condividere una vita con qualcuno è giusto? Consumarsi l’anima per qualcuno , esporsi emotivamente non è amore è dipendenza affettiva. Ho detto “Ti amo” ad uno, forse due ragazzi in tutta la mia vita. A posteriori, penso che non fosse vero. Non riesco al momento a vivere qualcosa di così intenso, non riesco a legarmi, non riesco a mettermi da parte ora che ho ripreso, dopo anni, coscienza di me.Ho sempre sostenuto che noi italiani viviamo innamorandoci giorno per giorno di tutto, del caffè, dell’arte, della nostra letteratura, dell’amore stesso, del far all’amore, dei versi di Apuleio, del panorama sulla città eterna, della moda, dei piaceri della tavola, del martini bianco delle 19.

Innamorarsi è come un Martini Bianco.Decidi di berlo per la leggerezza. Appena arriva noti il ghiaccio, la coppa, l’oliva infilzata nello stuzzicadenti. Pensi che un’oliva non dovrebbe mai stare in un bicchiere. Butti giù un sorso. Dolce. L’alcool velocemente scorre, silente, alla ghiandola pineale. L’amaro dell’oliva è mitigato dal retrogusto dell’alcol. Ti fa pensare a quando stai male per qualcuno. L’amaro dentro, in fundo, perché l’acidità delle donne ha lo stesso principio di una carie: troppo zucchero andato a male ti corrode l’anima. Il Martini dolce che l’avvolge è il tuo apparir al meglio, sprezzante e indifferente.  Ne bevi un altro sorso, più deciso del primo. Quella è la consapevolezza. Quando dici sì, non ho mangiato e sono tipsy con un sorso di Martini. La stessa di quando pensi: ” è andata troppo in fretta, non sono stata causa, mi sono innamorata e non me ne sono accorta”. Poi posi il bicchiere. Contempli il colore del tuo drink. Adamantino, trasparente, incolore, puro. Lo scegli perché pensi che una donna ubriaca non è mai elegante che sia di alcol o d’amore. Bevo qualche Martini. Mi innamoro a volte. Credo di amare. Poi mi rendo conto di aver bagnato le labbra e basta e che comunque il conto, a volte, lo pago anche io.

D.C.


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